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Come i cambiamenti climatici cambieranno anche la nostra alimentazione

Quando parliamo di cambiamenti climatici e dell’impatto che questi possono avere sulla nostra esistenza, non ci sentiamo toccati in prima persona ed è forse per questo che in molti ancora sottovalutano il problema.

Ma se la questione riguarda la quotidianità e le difficoltà ci coinvolgono direttamente, 

allora, anche solo per puro spirito di sopravvivenza innato dentro di noi, il nostro livello di attenzione sul clima si alza perché avvertiamo l’urgenza di dover “difendere” certe nostre abitudini e stili di vita.

Tra le conseguenze che il surriscaldamento globale e la deriva climatica di medio lungo termine stanno
generando quella che più colpirà la nostra sfera personale riguarderà il cambiamento alimentare e la scarsità di determinati cibi che fanno parte della nostra dieta abituale.

Infatti, come evidenziato da una studio del Comitato dell’Onu sul clima, l’IPCC, a drastici cambiamenti
climatici faranno seguito altrettanto drastici cambiamenti della nostra agricoltura con conseguenze terribili e, ad oggi, inimmaginabili.

 

Secondo il rapporto dell’IPCC,

molte delle colture che oggi troviamo facilmente al mercato e sulla nostra tavola sono destinate a sparire se non si cambia radicalmente l’approccio verso il clima e i processi di produzione.

Il riscaldamento globale genera come conseguenza principale l’innalzamento delle temperature medie
mondiali causando fenomeni atmosferici come uragani, siccità e desertificazioni che possono minare seriamente l’agricoltura mondiale, non solo per una sopraggiunta scarsità di acqua ma anche per il proliferare di batteri che attaccano le coltivazioni, distruggendole o riducendone drasticamente la
produzione.

Il tutto mentre parallelamente la popolazione mondiale continua ad aumentare e con essa la
domanda di cibo.

Secondo il World Economic Forum sono 11 le principali colture che in un futuro non troppo lontano
saranno a rischio a causa dei cambiamenti climatici.

Partendo da quelle meno “necessarie” all’essere umano, il WEF ha stimato una calo drastico della
produzione entro il 2030 di caffè e cioccolato.

Le cause sono riconducibili a vari fattori: per il primo, la continua volatilità del clima e delle temperature nelle zone umide e dove il suolo è molto ricco.

Per il secondo la presenza sempre più ridotta di api, responsabili dell’impollinazione, a causa delle alte temperature.

Ma sono altri gli alimenti che potranno mettere a dura prova la nostra stessa esistenza: dallo studio infatti
emerge che 3 cereali determinanti per il nostro sostentamento diverranno merce rara a causa dei
cambiamenti climatici: il mais, il grano e il riso. Secondo la Fao queste colture compongono il 51% delle
nostre calorie e, a fronte di una domanda che entro il 2050 aumenterà del 33%, alluvioni e siccità ne
ridurranno drasticamente l’offerta. Anche la soia entro il 2100 potrà vedere un crollo di produzione del 40% e questo aspetto non riguarderà il solo consumo alimentare ma soprattutto la produzione di biofuel.
Sempre a causa dei cambiamenti climatici e dalla schizofrenia quotidiana delle temperature, a rischio ci
saranno anche i ceci, che richiedono moltissima acqua, le arachidi che hanno bisogno di stabilità in termini di calore e in generale tutta la frutta a nocciolo che ha bisogno di molto calore per svilupparsi ma che con un cambio repentino di temperature viene distrutta dal freddo.

In quest’ottica l’uva è l’alimento maggiormente a rischio con stime di riduzione di produzione dell’85% entro i prossimi 50 anni.
In linea generale, gli alimenti che potremo non vedere più sulla nostra tavola sono quelli che nel ciclo
produttivo utilizzano grandi quantità d’acqua, la cui disponibilità si riduce anno dopo anno. Tra questi
soprattutto la carne bovina (oltre 15mila litri per kg) , suina (quasi 6mila litri per kg), il burro e, come
dicevamo, il cioccolato.
Le zone maggiormente colpite dalla drastica riduzione di produzione agricola saranno quelle maggiormente soggette ad aridità come l’Africa, le regioni montuose dell’Asia e il Sudamerica. Oltre a una
riduzione di valori nutrizionali causata dall’aumento della CO2 nell’atmosfera, entro il 2050 ci sarà un
aumento dei prezzi stimato intorno al 23%, con milioni di persone che non saranno in grado di affrontarlo e una povertà diffusa che inevitabilmente crescerà.
Per evitare tale declino, bisogna fare la differenza anche nel nostro quotidiano, adottando una dieta
alimentare sostenibile, consumando prodotti che hanno meno impatto sull’ambiente e, soprattutto sul
consumo di acqua nei cicli produttivi.
L’IPCC, per questo, suggerisce di diminuire il consumo di carne, di preferire quello di vegetali a basso
impatto ambientale e, ovviamente, di non sprecare il cibo.
Se continuiamo di questo passo, alcuni alimenti che oggi portiamo a casa per pochi soldi saranno l’oro di
domani. Fermiamo questo trend o saremo costretti a farci la guerra per un pezzo di pane. Cosa che,
purtroppo, già succede in molte parti del Mondo.

Quando parliamo di cambiamenti climatici e dell’impatto che questi possono avere sulla nostra esistenza, non ci sentiamo toccati in prima persona ed è forse per questo che in molti ancora sottovalutano il problema.

Ma se la questione riguarda la quotidianità e le difficoltà ci coinvolgono direttamente, 

allora, anche solo per puro spirito di sopravvivenza innato dentro di noi, il nostro livello di attenzione sul clima si alza perché
avvertiamo l’urgenza di dover “difendere” certe nostre abitudini e stili di vita.

Tra le conseguenze che il surriscaldamento globale e la deriva climatica di medio lungo termine stanno
generando quella che più colpirà la nostra sfera personale riguarderà il cambiamento alimentare e la scarsità di determinati cibi che fanno parte della nostra dieta abituale.

Infatti, come evidenziato da una studio del Comitato dell’Onu sul clima, l’IPCC, a drastici cambiamenti
climatici faranno seguito altrettanto drastici cambiamenti della nostra agricoltura con conseguenze terribili e, ad oggi, inimmaginabili.

Secondo il rapporto dell’IPCC,

molte delle colture che oggi troviamo facilmente al mercato e sulla nostra tavola sono destinate a sparire se non si cambia radicalmente l’approccio verso il clima e i processi di produzione.

Il riscaldamento globale genera come conseguenza principale l’innalzamento delle temperature medie
mondiali causando fenomeni atmosferici come uragani, siccità e desertificazioni che possono minare seriamente l’agricoltura mondiale, non solo per una sopraggiunta scarsità di acqua ma anche per il proliferare di batteri che attaccano le coltivazioni, distruggendole o riducendone drasticamente la produzione.

 

 

 

Il tutto mentre parallelamente la popolazione mondiale continua ad aumentare e con essa la domanda di cibo.

Secondo il World Economic Forum sono 11 le principali colture che in un futuro non troppo lontano

saranno a rischio a causa dei cambiamenti climatici.

Partendo da quelle meno “necessarie” all’essere umano, il WEF ha stimato una calo drastico della produzione entro il 2030 di caffè e cioccolato. Le cause sono riconducibili a vari fattori: per il primo, la continua volatilità del clima e delle temperature nelle zone umide e dove il suolo è molto ricco.

Per il secondo la presenza sempre più ridotta di api, responsabili dell’impollinazione, a causa delle alte temperature.

Ma sono altri gli alimenti che potranno mettere a dura prova la nostra stessa esistenza: dallo studio infatti emerge che 3 cereali determinanti per il nostro sostentamento diverranno merce rara a causa dei cambiamenti climatici: il mais, il grano e il riso. Secondo la Fao queste colture compongono il 51% delle nostre calorie e, a fronte di una domanda che entro il 2050 aumenterà del 33%, alluvioni e siccità ne ridurranno drasticamente l’offerta. Anche la soia entro il 2100 potrà vedere un crollo di produzione del 40% e questo aspetto non riguarderà il solo consumo alimentare ma soprattutto la produzione di biofuel.

Sempre a causa dei cambiamenti climatici e dalla schizofrenia quotidiana delle temperature, a rischio ci saranno anche i ceci, che richiedono moltissima acqua, le arachidi che hanno bisogno di stabilità in termini
di calore e in generale tutta la frutta a nocciolo che ha bisogno di molto calore per svilupparsi ma che con un cambio repentino di temperature viene distrutta dal freddo. In quest’ottica l’uva è l’alimento maggiormente a rischio con stime di riduzione di produzione dell’85% entro i prossimi 50 anni.
In linea generale, gli alimenti che potremo non vedere più sulla nostra tavola sono quelli che nel ciclo produttivo utilizzano grandi quantità d’acqua, la cui disponibilità si riduce anno dopo anno.

 

 

 

Tra questi soprattutto la carne bovina (oltre 15mila litri per kg) , suina (quasi 6mila litri per kg), il burro e, come dicevamo, il cioccolato.
Le zone maggiormente colpite dalla drastica riduzione di produzione agricola saranno quelle maggiormente soggette ad aridità come l’Africa, le regioni montuose dell’Asia e il Sudamerica.

Oltre a una riduzione di valori nutrizionali causata dall’aumento della CO2 nell’atmosfera, entro il 2050 ci sarà un aumento dei prezzi stimato intorno al 23%, con milioni di persone che non saranno in grado di affrontarlo e

una povertà diffusa che inevitabilmente crescerà.
Per evitare tale declino, bisogna fare la differenza anche nel nostro quotidiano, adottando una dieta alimentare sostenibile, consumando prodotti che hanno meno impatto sull’ambiente e, soprattutto sul consumo di acqua nei cicli produttivi.

L’IPCC, per questo, suggerisce di diminuire il consumo di carne, di preferire quello di vegetali a basso impatto ambientale e, ovviamente, di non sprecare il cibo.

Se continuiamo di questo passo, alcuni alimenti che oggi portiamo a casa per pochi soldi saranno l’oro di domani. Fermiamo questo trend o saremo costretti a farci la guerra per un pezzo di pane. Cosa che, purtroppo, già succede in molte parti del Mondo.

 

 

 

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