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LA LETTURA DEL SABATO - A CURA DI GIORGIO MOTTIRONI

Antropocene e Finanza Climatica.

Da almeno una ventina di anni è entrata a far parte del vocabolario scientifico
d’uso comune una parola che ha lo scopo di rimarcare gli effetti della nostra
specie sull’evoluzione del pianeta: “antropocene“.

Tecnicamente l’antropocene dovrebbe aver avuto inizio con la comparsa della
nostra specie (Homo Sapiens), ovvero circa 250.000 anni fa. In realtà i primi
ominidi risalgono a 3mln o addirittura, e l’inizio della loro evoluzione risale a
6mln di anni or sono.

Questo tanto per darvi un’idea del tempo della natura, della sua dimensione e
delle velocità dei suoi processi.

Ma la geologia non si presta troppo facilmente alle interpretazioni
contemporanee e dunque preferisce fare riferimento alla nostra epoca come
all’Olocene, ovvero un periodo di circa 11.700 anni in cui la nostra specie ha
iniziato a prosperare in comunità prima e società poi, partendo dalle forme più
isolate e primitive a quelle iperconnesse e complesse di oggi, caratterizzata da
una incredibile stabilità climatica e da una concentrazione di CO2 in atmosfera
pressoché stabile (Misure della concentrazione di anidride carbonica in antiche
bolle d’aria intrappolate nei nuclei di ghiaccio polare mostrano che durante
l’epoca dell’Olocene (9.000 a.C. in poi) la CO₂ era compresa tra 275 e 285
ppmv).

Ma torniamo al termine “antropocene”. Fu coniato per la prima volta da un
Italiano, nel 1873: Antonio Stoppani.
Antonio Stoppani già ai suoi tempi intuì che l’uomo avrebbe rappresentato la
più grande forza tellurica mai sperimentata dal pianeta (per capacità pervasiva),
essendo le sue attività la principale causa di modificazioni strutturali, territoriali
e climatiche.

La sempre maggior presenza di attività umane (in particolare di quelle dell’età
industriale) ha accelerato processi trasformativi determinati da una
conseguenza principale: il surriscaldamento superficiale (globale), in
particolare quello dei mari che trattengono il 93% del calore “non scambiato”
dal nostro pianeta con l’universo, dovuto ad una maggiore presenza in
atmosfera di CO2 che funge da “strato ovattante”. Quel dato di concentrazione
di CO2, espresso in “parti per milione” (ppm) è oggi ben rappresentato dalla
famosa curva di Keeling, la quale riporta le rilevazioni dal 1958 ad oggi nel
remoto osservatorio di Mauna Loa alle Hawaii, e ci dice che oggi siamo a
418,9ppm (+2,8ppm rispetto al 2022, +0,7% su base annuale) ma soprattutto
che stiamo vivendo con il 50% di concentrazione di CO2 in più rispetto ai tempi
pre-industriali.

Studiano la storia della Terra, si comprende come alla concentrazione di CO2
sia legata la temperatura media del pianeta: quando scende si ritrovano
concentrazioni molto basse, mentre quando sale concentrazioni molto alte.

Per avere un’idea della strada che stiamo imboccando, per ritrovare tali
concentrazioni di CO2 dobbiamo tornare a circa 3 milioni di anni fa, nel
Pliocene, quando la temperatura media globale terrestre era più alta di 4°C
rispetto a quella della nostra epoca (geologica) e soprattutto l’Italia
assomigliava ad una dorsale di isolotti, perché i livelli dei mari erano più alti di
circa 25mt.

La maggiore presenza di CO2 è determinata da due fattori:

  1. l’immissione di quote sempre maggiori per l’uso di combustibili
    fossili.
  2. l’indebolimento dei sistemi di difesa naturali legato all’incessante
    estrattivismo di risorse.

Per capire quale sia la portata delle trasformazioni da noi causate
riportiamo alcuni numeri ed indicatori, precisamente misurati.

Combustibili fossili, disboscamento forzato ed altre attività altamente intensive
hanno prodotto due principali conseguenze:

  • Una quota insostenibile aggiuntiva ai livelli naturali di CO2 pari a 1
    trilione di tonnellate (mille miliardi di tonnellate di CO2).
  • Un surriscaldamento dei mari che si riflette in una traiettoria della
    temperatura globale di +2°C/+3,5°C rispetto ai tempi
    preindustriali e che si manifesta oggi in fenomeni climatici sempre più
    sconvolgenti, oltre ad una progressiva tropicalizzazione degli stessi.

Come stiamo procedendo?

Dopo aver tagliato circa 2,5 trilioni di alberi, continuiamo a disboscare
circa 1ha di terreni al minuto, e perdiamo circa 1,2ha di barriera corallina al
minuto.

Il problema è che non siamo in grado di rispondere allo stesso modo.
Siamo in grado di ripiantare solo 1ha di terreni al giorno, e per quanto
riguarda i coralli siamo in grado di recuperare 1ha per decade (10 anni).

Paragonando dunque la velocità con cui continuano a portare avanti questi
fenomeni a quella con cui oggi siamo in grado di mitigarli direttamente, appare
evidente come sia fondamentale puntare su:

L’inversione della rotta poggia su due cardini di azione fondamentali:

  1. Una drammatica riduzione della dipendenza dei sistemi produttivi
    e di consumo dalle fonti fossili, supportando l’elettrificazione dei
    processi, la generazione da rinnovabili e l’efficienza energetica.
  2. Il supporto allo sviluppo di tecnologie che possano più
    rapidamente incidere sui macro-fenomeni, come quelli sopra
    riportati, simbolo del cambiamento climatico.

C’è bisogno di politiche e politici che tengano alta l’attenzione sul problema,
ma soprattutto c’è bisogno di scelte concrete, quotidiane o strategiche, da
parte di ciascuno di noi che permettano allo sviluppo tecnologico ed
economico di andare oltre i tempi della politica (i quali hanno la stessa
prospettiva di una “breaking news” rispetto ai problemi che devono affrontare).

Sono scelte coraggiose perché non produrranno effetti da noi integralmente
direttamente misurabili: certo potremo misurare una migliore qualità dell’aria e
della vita perché più vicini alla natura, ma per ristabilire la temperatura degli
oceani ci vorranno letteralmente secoli.

Sono scelte che richiedono resilienza, ovvero perseveranza e pazienza nel
cogliere i risultati.

Un vero e proprio processo di coltivazione:

  • individuare con rinnovata coscienza e consapevolezza i nuovi semi da
    piantare
  • arare e piantare i semi attraverso nuove scelte e comportamenti
    accudire la crescita della pianta rinforzando positivamente tali
    comportamenti
  • cogliere la giusta quantità di frutti e lasciare alle generazioni
    successive la possibilità e l’esperienza per proseguirla

Tra queste scelte, quelle di natura finanziaria, ovvero la possibilità di allocare le
risorse monetarie di oggi per decidere su quali percorsi tecnologici,
infrastrutturali, materiali (e di riflesso anche scientifici, culturali e sociali)
puntare e sostenere, possono fare la differenza.

Oggi la finanza climatica è una dimensione riconosciuta ma con ancora diversi
problemi “dimensionali”: la Climate Policy Iniziative misura circa 1,27 mila
miliardi di dollari mentre la IEA parla di oltre 2 mila miliardi di dollari investiti nel
settore “clean energy”, tra generazione, stoccaggi, infrastrutture, mobilità,
nuove tecnologie. E problemi di natura “politico-mediatica”: si tende a sollevare
dibattiti lontani dalla natura dei problemi e dalle soluzioni per aggregare
consenso attorno alle posizioni più resistenti al cambiamento, o perché non in
grado di gestirlo in modo inclusivo e progressista, o perché legate ad interessi
potenzialmente distanti dalla salute e dal benessere delle persone (sia fisico
che economico).

In entrambi i casi, dati alla mano, è assodato e condiviso dalle maggiori
istituzioni che il grande assente sia il capitale privato, ovvero la possibilità per i
cittadini risparmiatori di investire nella transizione energetica, nei propri Paesi
ed all’estero, e d’altro canto la possibilità per gli operatori di avere accesso a
nuove fonti finanziarie per sostenere i propri piani di sviluppo: solo il 15% dei
capitali è di provenienza “privata” e la totalità di queste risorse è dirottata in
equity (proprietà diretta o acquisti).

Ora, per quanto chi scrive sia dell’idea che un recupero da parte delle persone
della proprietà degli asset materiali (ed immateriali) che originano o gestiscono
i servizi all’interno di una società o comunità sia un fattore imprescindibile di
difesa del proprio futuro e diritti, è evidente che non possiamo immaginare gli
individui solo come consumatori passivi di innovazioni o soluzioni tecnologiche
(su cui tralaltro si finisce prevalentemente per innestare dinamiche speculative ed in definitiva esclusive note come “green premium”).

Se vogliamo dunque che l’Antropocene non diventi un’epoca caratterizzata solo
da perdita di bioversità, catastrofi climatiche, incremento delle disuguaglianze,
conflitti e crisi sempre più frequenti, c’è bisogno di rendere la finanza climatica
aperta ed inclusiva dei capitali privati, attraverso una maggiore accessibilità
degli strumenti di debito, una riconfigurazione comunitaria dell’equity, una
maggiore trasparenza su quelli tradizionali, con un duplice scopo:

  • raggiungere i volumi di investimento necessari agli obiettivi di
    neutralità climatica;
  • redistribuire valore economico a chi sarà in grado di rendersi partecipe
    a questo cambiamento di valori epocale (aspetto su cui
    approfondiremo nella prossima lettera), sovvertendo la dinamica
    classica dei “cicli economici”.

Noi di Ener2Crowd, stiamo segnando il passo del cambiamento, dandovi la
possibilità di scegliere e premiare i vostri comportamenti, facendo lavorare i
vostri capitali per il vostro benessere, quello del pianeta e dunque delle
generazioni a venire. Con lo scopo di costruire un presente più ricco ed un
futuro più giusto.

Aggiungendo un concreto impegno per la riforestazione (che non guasta).

Questo per noi vuol dire produrre ricchezza.

Questo è il nostro modo di trasformare concretamente una preoccupazione in
un’azione.
Questo è il nostro modo di trasformare la minaccia del climate change
nell’opportunità della climate remediation.

Giorgio Mottironi – CSO & Co-Founder di Ener2Crowd

(L’immagine è delle miniere di carbone in Germania, a poche migliaia di Km da
noi, decisamente più straziante del basamento di cemento di una pala eolica).

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